Francisco Garden

Scultura in terracotta nera patinata bronzea
H 44 cm
Peso kg 4,180

Critica a cura di Alfredo Pasolino

AFRICA: ragione e antiragione , bellezza selvaggia di una terra ancora avvolta dal mistero, che ci riporta al mito della grande regina di Saba, amata da re Salomone, e imperfezione ambientale voluta di una Natura gelosa, complice della follia dell’uomo occidentale; siccità e terre vitali rubate dal deserto, carestie, e uomini tenaci in perenne cammino sulle piste carovaniere dei Tuareg. La nave perenne del suo destino, salpata dal tempo immemorabile, approda al lido della contemporaneità dell’arte del tempo infinito circolare, nell’opera di Francisco Garden, per una sosta ispirativa all’oasi della sua creatività, ed abbeverarsi nell’accogliere nuove ragioni del suo eterno viaggio.
Un viaggio, quello di Garden, su quelle terre fin troppo disomogenee e di mezzo…, fra realtà, mistica ancora satura di valori virginali tribali, un sapere orale conclamato dalla trascendenza generativa, e fantasia dei loro rituali, che è la follia della loro spiritualità. Lo fece anche re Davide quando si cinse di bracciali con campanellini, polsi e cavigliere, coinvolgendo il suo popolo, innamorato dal rito sinuoso della sua danza, che lo adorava con l’Arca di Dio.
Francisco si confronta con questa tematica, affascinato esplorando sotto l’influenza della non-ragione, i crudi amanti del Continente nero, venuti dall’oltre mare, per violare quelle ricchezze. L’artista generoso figlio della terra calabra, esplora con il filtro dell’introspezione , un lavoro che muove da queste tracce etniche, storiche, sociali, morali, con un’indagine plastica affiorante nel suo emotivo precipitato esecutivo, in forme di terracotta, di figure che passando ad uno stile personale, sinuoso, longilineo, virtuoso d’intuizioni, vivace nella sua mobilità plastica, delle sensazioni riversate, nella gioia di qui popoli nati liberi!, , delle sofferenze delle schiavitù dell’asservimento alle colonie d’America, di uomini e donne della pelle disprezzata “negra”, una pelle invece penetrante di umori, coacervi, di una pelle lussureggiante e tonale come l’ebano,e luminosissima del loro orgoglio psicologico di essere figli della loro madre-terra, resi dall’artista con morbido equilibrio compositivo. Per questo Africa è al vertice della figura umana, con sincera ispirazione e naturalezza, hanno guidato la sua gestualità, non nel modellismo tradizionale, non con passaggi che eludono il rischio della rigida-posa, rapidi e mai deformati all’espressività del sentimento di superficie.. Nell’opera ritroviamo lineamenti morbidi, frutto di un grande sogno visionario, notazioni psicologiche che inneggiano alla maternità, oltre che alla luminosità della levigatezza, cui Francisco abilmente promette il senso della bellezza plastica, selvaggia ma incorruttibile, con visi e colli allungati, occhi scuri con i sentieri intimisti dell’introspezione di diverse figure umane a metà, tra figurativo e minimalismo espressionista di sapore dechirichiano, frutto di una sperimentazione e soprattutto logo-tipo che contraddistingue il suo gesto autobiografico. A rendere tangibile sensibilità innervandosi in una grandezza di quel vissuto che non conosce soste e ipocrisia Francisco guarda in profondità e si pone sul versante della pre-surrealità, per il quale l’irrazionale può dargli l’arte. E per avvisarci che l’arte plastica si estingue sulla faccia della terra d’Africa , quando il suo legame con l’umano viene meno. Alfredo Pasolino.

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